Utilizzare componenti hardware prodotte da aziende terze con l’unico compito di assemblarle e svilupparvi attorno il software è quello che la maggior parte delle aziende di smartphone fa. E anche Xiaomi non è da meno. Soprattutto per gli smartphone di fascia bassa e di fascia media, affidarsi a questo genere di produzione è più economico. Tuttavia, quando si parla di fascia alta e di smartphone dotati di specifiche particolari pensate per distinguerli dalla concorrenza, ecco che la standardizzazione dei componenti terzi non è più fattibile.
Ecco allora che, nei piani di Xiaomi per il prossimo futuro, c’è l’incremento esponenziale della progettazione e della produzione di specifiche componenti nei propri laboratori. In particolare, si parla della realizzazione di moduli display (il substrato che fa da collegamento e sostegno tra il display vero e proprio e la scheda madre), sensori di impronte digitali, motori a vibrazione e packaging dei chip.
I piani di Xiaomi per questo genere di evoluzione del proprio mercato prevedono forti investimenti in India. Non a caso, l’azienda vuole rendere il “Made in India” il nuovo “Made in China” attraverso forti investimenti locali: “Stiamo avendo queste conversazioni per localizzare e aumentare il valore aggiunto domestico” ha detto Muralikrishnan B, presidente di Xiaomi India.
Per quanto riguarda la Cina, l’evoluzione di Xiaomi sta rivolgendosi sempre più verso la produzione smart robotizzata, con le prime fabbriche già operative che hanno fatto il debutto con l’assemblaggio totalmente automatizzato del Mi 10 Ultra e successivamente di fino a 10 milioni di modelli l’anno.
Essere più indipendente da aziende terze è il passo più logico per un’azienda che è ormai è fermamente presente nella Top 3 nella vendita di smartphone a livello mondiale e si sta preparando per il suo più grande salto si sempre: la produzione delle proprie auto elettriche.