Cosa abbiamo appreso dalla vicenda “Huawei che trucca i benchmark”

Da Lorenzo Spada

Come sicuramente saprete, in questi giorni si è alzato un grande polverone nei confronti di Huawei e della sua tecnica non proprio corretta quando gli utenti eseguivano delle app di benchmark. L’azienda ha messo pubblicamente che eliminava le misure di sicurezza per non fare andare in throttling gli smartphone ma tutto ciò ci ha fatto imparare, ancora una volta, quanto poco significativi sono i benchmark.

Non stiamo dicendo che i test benchmark non sono validi a classificare gli smartphone in base alla loro potenza (altrimenti gli sforzi di Xiaomi col Black Shark, col MI MIX 2S e con il Mi 8 sarebbero stati vani) ma solo che essi non possono essere l’unico punto di riferimento quando si deve acquistare uno smartphone.

Come ripetiamo spesso, le funzionalità hardware ormai si sono molto livellate fra la fascia media e la fascia alta, tanto che in molti si stanno rendendo conto che acquistare uno smartphone di fascia media è più conveniente, da tutti i punti di vista, rispetto all’acquisto di un top di gamma spendendo il doppio (lo Xiaomi Pocophone F1 è un’eccezione alla regola dello spendere poco).

Ciò che fa veramente la differenza è il software e com’è stato sviluppato in linea con l’hardware presente. Xiaomi ha dimostrato, più di una volta, di essere molto vicina ai propri utenti con aggiornamenti settimanali della MIUI ROM.

Con il programma Android One di cui fanno parte il Mi A1, il MI A2 e il MI A2 Lite poi, ci troviamo di fronte al software preferito da molti (un vecchio sondaggio indicò che gli utenti Xiaomi preferivano Android One alla MIUI) e altamente ottimizzato direttamente da Google.

Poi c’è tutto un altro discorso che riguarda l’estetica, in cui non conta praticamente nulla in quanto le preferenze sono molto soggettive e non vi sono standard su cui fare riferimento.

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